La Cassazione tedesca: “Su Google non si possono pubblicizzare prodotti diversi da quelli cercati”.
È una sentenza storica quella emessa dalla Corte Federale di Giustizia della Germania. Una sentenza che vieta di pubblicizzare su Google prodotti corrispondenti a un marchio diverso da quello cercato in origine dall’utente.
Tutto è iniziato qualche settimana fa per via del contenzioso tra Amazon e la società Ortlieb, che produce borse per biciclette. Il team Ortlieb ha analizzato le risposte di Google alle keywords collegate al marchio.
Ciò che è emerso è che a query come “Borsa per bici Ortlieb”, “Borsa per bagaglio Ortlieb” e “Outlet Ortlieb”, Google rispondeva con annunci sponsorizzati di Amazon che non comprendevano solo i prodotti del marchio, ma anche i concorrenti (con relative offerte).
Di fatto, dunque, a keywords che riportano specificamente il brand, il carosello sponsorizzato di Google rimandava a borse di marchi diversi, per altro simili per design e tessuto. Così, Ortlieb ha intentato causa al colosso delle vendite online per violazione del diritto al marchio e pubblicità fuorvianti.
Ortlieb ha vinto, anche se Amazon aveva schierato i suoi legali per riuscire a spuntarla, come aveva già fatto in passato.
Non è la prima volta, infatti, che Ortlieb trascina la società di Jeff Bezos in tribunale. C’era già stato un precedente a Monaco, quando il contenzioso si era risolto con il pagamento di una multa piuttosto salata.
Stavolta, però, l’esito della causa ha tutte le carte in regola per fare cambiare le regole dell’advertising online.
Infatti, la Corte di Cassazione ha stabilito che “il proprietario del brand, in questo caso Ortlieb, ha il diritto di opporsi e di vietare l’uso del suo nome come parola chiave pilota” (a questo link è possibile consultare la sentenza).
Una parola chiave pilota è ciò che guida gli utenti in una ricerca d’acquisto su Google. Ciò che si scatena quando la parola chiave pilota è un brand è un effetto pubblicitario indebito che sfrutta la notorietà del marchio ricercato per conversioni con esito sfavorevole a quest’ultimo.
Adesso non solo Amazon, ma qualsiasi negozio online dovrebbe, teoricamente, ricalibrare gli annunci.
Tecnicamente, “chiunque pubblicizzi i propri prodotti tramite Google dovrà fare in modo che alla ricerca specifica corrisponda un’offerta specifica che escluda i concorrenti”, anche in base alle norme della Corte di Giustizia Europea [CGE, Urt v. 22.09.2011, Az. C-323/09, “Interflora”].
Queste norme sostengono infatti che debba sempre preservato il legittimo interesse del proprietario del brand. Con una sola eccezione: l’accordo pubblicitario con il marchio stesso che prevede comunque che il prodotto contraddistinto dal brand debba essere comunque riconoscibile.
In conclusione, dunque, se Amazon & Co vogliono sfruttare un brand come parola chiave pilota in primis a essere d’accordo dovrebbe essere il marchio. E in più, non dovrebbero essere usati prodotti simili per design, colore, forma o misura che possano fuorviare gli utenti.
Riuscirà questa sentenza a fare davvero la differenza?