Barilla, dalle origini al successo di un love brand
Era il 1877 quando Pietro Barilla, discendente di una famiglia di fornai, ebbe l’idea di aprire a Parma la prima bottega che produceva pane e pasta. Proprio da qui si piantano le radici per quella che oggi conosciamo come una delle aziende più grandi d’Italia.
In quel periodo, la produzione si limitava a 50 kg di pasta al giorno, ma ciò non fermò Pietro Barilla, che nel 1891 provò ad aprire una seconda bottega: questa però fallì e con essa l’intera azienda.
Nonostante questo, Barilla provò una seconda volta ad avviare la sua attività e finalmente, nel 1905, arrivò al traguardo di 25 quintali di pane a pasta al giorno.
Nel 1910 l’azienda riuscì ad aprire il primo pastificio industriale che permetteva la produzione di 80 quintali di pasta al giorno, e fu proprio in quel momento che venne creato il primo marchio aziendale che permise finalmente di riconoscere il marchio Barilla nelle tavole degli italiani.
Oggi Barilla ha al suo interno diverse marche come Mulino Bianco, Wasa, Pan di Stelle e GranCereale.
Quando parliamo di pasta, Barilla è probabilmente la prima azienda a fare capolino nei pensieri degli italiani e sono tre le ideologie principali che tutti possiamo ricondurre a questo brand: la genuinità dei prodotti e degli ingredienti utilizzati, il rispetto dell’ambiente e l’idea di famiglia, intesa come famiglia stretta ma anche come gruppo di impiegati e lavoratori dell’azienda.
L’evoluzione del brand Barilla
Come abbiamo accennato, è dal 1910 che la marca Barilla inizia a concretizzarsi dal punto di vista dell’identità del brand creando il suo primo logo, ovvero l’immagine di un bambino che rovescia il tuorlo di un uovo gigante in una cassa di farina (dalla mano dello scultore Enrico Trombara). Questa immagine è particolarmente importante per l’azienda in quanto l’uovo rappresentava la vita e l’abbondanza e si rifaceva a uno degli ingredienti principali della pasta all’uovo Barilla.
Questo logo viene utilizzato in diverse forme fino agli anni Trenta e veniva affiancato ad altri tipi di immagini che avevano tutte in comune l’idea del focolare, della famiglia e di bambini che si nutrivano della pasta Barilla. Inoltre, nel 1916, venne pubblicato il primo calendario Barilla che aveva come idea quella di un brand vicino alle famiglie italiane, che le accompagnava ogni giorno.
Nel 1922 viene creato il personaggio di un angioletto che viene utilizzato nelle pubblicità per dieci anni. È in questi anni che nascono i primi punti vendita monomarca, che venivano arredati con poster e manifesti pubblicitari.
Nel 1936 la gestione del logo passa a Giuseppe Venturini che elimina qualsiasi tipo di personaggio per creare il primo wordmark, ovvero il logo formato semplicemente dal nome dell’azienda.
Lo stesso anno entra in azienda Pietro Barilla, nipote del fondatore, che affida l’immagine del brand a Erberto Carboni. Il logo negli anni successivi verrà contornato da un ovale rosso e bianco che ricorda un uovo. Evolvendo la grafica fino a diventare sempre più moderna, il logo ovale bianco e rosso è rimasto in vigore fino a qualche giorno fa, quando è stato sostituito da un ovale di un rosso più scuro e monocromatico che segue la logica minimalista del design moderno.
La strategia di marketing: dagli anni ‘50 agli anni ‘80
Gli anni ‘50 sono gli anni della diffusione della televisione e conseguentemente anche gli anni delle prime pubblicità e Barilla non si fa di certo scappare quest’occasione. L’azienda è infatti una delle prime a riservarsi uno spazio pubblicitario nel primo Carosello del 1957, aiutata da volti famosi come Giorgio Albertazzi o Dario Fo.
Negli anni ‘60 il marketing televisivo di Barilla fa un passo avanti quando viene scelta come testimonial Mina, che collabora con l’azienda per 5 anni. Siamo in pieno boom economico e i consumi degli italiani cambiano: adesso non si comprano più solo prodotti necessari ma anche prodotti considerati un lusso o un vezzo. Questo stile di vita cambia anche l’immagine della donna che, aiutata dai nuovi elettrodomestici, ha più tempo per sé stessa e di conseguenza ha anche più tempo per sbizzarrirsi in cucina. Mina, un’icona di quel tempo, rappresentava proprio questo tipo di donna, elegante, affascinante e sempre più vicina all’emancipazione e che adesso cucina per piacere e non più per obbligo.
Con la crisi economica degli anni ‘70, anche Barilla subisce un forte colpo, tanto che Pietro Barilla è costretto, con molto rammarico, a vendere l’azienda alla multinazionale americana Grace. Riuscirà poi a riacquistarla nel 1979, ma durante questi anni l’azienda fa comunque un ulteriore passo avanti. Nasce infatti Mulino Bianco, che introduce comunicazione completamente nuova ma che riscuote un grandissimo successo tra i consumatori italiani. È una comunicazione che punta sui valori antichi, sul consumo di prodotti genuini della campagna come il grano e le uova, che punta a ricordare i biscotti fatti in casa e la famiglia che si riunisce per mangiarli e in un certo senso rifiuta l’idea di modernità verso cui invece tutte le altre aziende iniziavano a puntare.
È una comunicazione che funziona e che porta Mulino Bianco a diventare tra le prime nel proprio settore in poco tempo; ne abbiamo testimonianza nel fatto che ancora oggi i suoi prodotti si trovano sulle tavole di gran parte degli italiani.
Gli anni ‘80 sono gli anni della pubblicità emozionale, di cui Barilla si fa promotrice con l’idea di famiglia e di ritorno a casa. È infatti in questi anni che nasce lo slogan “Dove c’è Barilla c’è casa”, che viene accompagnato dal jingle “Hymn” del compositore greco Vangelis e che ancora oggi fa parte della comunicazione televisiva dell’azienda. Un spot esemplare di questa strategia è quello della bambina che salva un gattino dalla pioggia, per poi tornare a casa dai suoi genitori e gustare con loro un piatto di pasta: in questo spot viene racchiusa l’intera strategia comunicativa del periodo, incentrata sull’idea di casa, di famiglia e di tradizione, che conquista anche i mercati esteri.
La comunicazione dagli anni ‘90 ai 2000
Negli anni ‘90 continua la collaborazione di Barilla con nomi importanti dello spettacolo anche all’estero, come Gerard Depardieu o Placido Domingo, insieme a protagonisti dello sport come Alberto Tomba. È un decennio in cui ci si concentra principalmente sul benessere e su un’alimentazione sana basata sulla piramide alimentare.
È negli anni 2000 che la comunicazione di Barilla inizia a trasformarsi più profondamente. È infatti l’era di internet e del digitale, in cui le persone sono connesse e iniziano a creare community online. Gli spot di Barilla sfruttano questa concezione nuova del mondo, ma mantengono l’idea principale di famiglia e ritorno a casa, raccontando di amori lontani, partenze, dell’italianità all’estero e utilizzando la pasta come mezzo di unione.
Due sono le piattaforme online principali tramite le quali, in questo periodo, Barilla cerca di creare una community di consumatori sempre più forte e unita. La prima è Nel Mulino Che Vorrei, un sito ufficiale in cui si possono condividere opinioni o proporre idee per nuovi prodotti che potrebbero anche essere realizzati dall’azienda; questo permette agli utenti e consumatori di avere un rapporto diretto con il brand e sentirsi parte di esso a tutti gli effetti.
La seconda è Guardatustesso.it, in cui Barilla mostra gli stabilimenti per la produzione dei sughi grazie alla tecnologia di Google Maps.
Su quest’onda è anche l’app per iPhone di Barilla chiamata iPasta, oggi disponibile anche su altre piattaforme, che mostra al consumatore i prodotti e i modi in cui prepararli, portandolo anche all’acquisto degli stessi in una logica che il Social Media & Digital Marketing Director di Barilla Alessio Gianni ha definito “dal divano alla cassa”.
Il digital marketing di Barilla
Un’azienda così grande, ovviamente, non può prescindere dalla comunicazione nei canali di digital marketing di cui sono protagonisti anche i social media. La presenza di Barilla nei social media è una presenza importante: la pagina Facebook conta più di 2 milioni di follower, la pagina Instagram più di 100mila e la pagina LinkedIn più di 400mila. È un tipo di comunicazione, specialmente quella di Facebook e Instagram, che si basa sull’engagement dei consumatori mantenendo come punto focale le ideologie del brand che non sono mai cambiate.
Alessio Gianni afferma che molto spesso le community online dei consumatori Barilla si creano spontaneamente grazie all’affetto che li lega all’azienda e sono la dimostrazione di come i consumatori vivono e fanno esperienza dei loro prodotti.
La comunicazione di Barilla, probabilmente anche per il settore a cui appartiene, punta molto alla gola del consumatore, mostrando foto dei piatti preparati con la pasta ma anche con video di ricette per realizzare gli stessi piatti o piatti diversi, cercando di coinvolgere i consumatori chiedendogli opinioni o invitandoli a caricare a sua volta i piatti da loro cucinati. Questa strategia adatta la pubblicazione di post di certi prodotti in orari specifici, per esempio quando si fa la spesa o all’ora di pranzo, in modo da risultare utili all’utente e non fastidiosi.
Chi lavora nel campo dei social media, però, sa bene che possono essere un’arma a doppio taglio per le aziende, specialmente se non si sta attenti a ciò che si dice o si fa.
È il caso dell’affermazione di Guido Barilla, che ha causato non pochi malcontenti sui social.
Il presidente dell’azienda, infatti, ha ammesso che non farebbe mai uno spot con una famiglia omosessuale in quanto non condivide il loro pensiero, che persone omosessuali possono anche mangiare un’altra pasta se non vogliono la Barilla e in più ha anche affermato di essere contrario all’adozione da parte di coppie omosessuali. È facile capire come questo abbia suscitato una reazione tutt’altro che positiva a livello nazionale ed internazionale, che di sicuro non ha fatto bene all’immagine dell’azienda, andando contro a quelle idee di inclusività e brand activism che si fanno sempre più spazio tra le strategie di marketing.
Le aziende concorrenti hanno subito preso la palla al balzo affermando come loro, invece, supportano tutti i tipi di famiglia e di persone, facendosi voce di diritti civili di cui in realtà fino a quel momento non avevano mai fatto parola. Anche questo tipo di risposta può essere facile obiettivo di critiche da parte dei consumatori, in quanto sottolinea l’ipocrisia di alcune aziende che molto spesso rimane dietro le quinte.
Nonostante questo scivolone, Barilla continua a promuovere gli stessi ideali di cui si fa portatrice dalla sua fondazione e cerca di coinvolgere emotivamente i propri consumatori. Ne è un esempio la campagna “A sign of love”, il cui messaggio principale è quello di trasmettere amore attraverso piccoli gesti che, in questo caso specifico, è la preparazione di piatti di pasta per le persone a cui vogliamo bene.
Barilla è stata anche oggetto di diversi attacchi riguardo la provenienza del grano con cui viene fatta la sua pasta. Nel 2018, infatti, la dicitura “Italia ed altri Paesi UE e non UE” è apparsa nelle confezioni, causando una pioggia di critiche sulla non totale italianità del prodotto. Nonostante l’utilizzo di grano estero non abbia compromesso la qualità della pasta, qualche anno dopo Barilla ha deciso di assecondare le richieste dei consumatori, convertendosi ad una produzione 100% italiana – stesso procedimento che aveva già fatto in passato con l’olio di palma, prima difeso e poi rinnegato.
Una delle ultime trovate di Barilla è nel campo del digital audio marketing, in collaborazione con Spotify. L’azienda ha infatti creato otto playlist per otto formati di pasta differenti, la cui lunghezza corrisponde ai minuti di cottura della pasta. Sono aggiornate con regolarità in modo da essere sempre nuove e di colmare l’attesa da quando “caliamo la pasta” a quando la gustiamo. Barilla è un esempio di azienda che, nonostante la sua longevità, ha saputo adattarsi ai cambiamenti in modo egregio, evolvendo insieme alla società e alle strategie di comunicazione, facendo dei propri valori e ideologie il perno della propria strategia di marketing.
All’inizio del 2022 Barilla ha nuovamente cambiato il suo logo svoltando per una soluzione più minimal in liena con le tendenze grafiche del momento.