Emergere per mezzo del sonic branding è sempre più importante
Per molti professionisti e imprenditori, una strategia di comunicazione di marketing efficace si muove tra logo, creazione di un sito web valido e sapiente uso dei social media. Niente di sbagliato, ma in un’epoca come quella attuale, dove i modi per affermare il proprio marchio sono in costante evoluzione, diventa sempre più importante pensare al sonic branding.
Applicare una strategia di sonic branding significa dare alla propria impresa una seconda dimensione rispetto a quella visiva: quella uditiva, che oggi sta assumendo un’importanza crescente. Rendere ascoltabile il proprio brand è un modo per affermarsi e farsi riconoscere, diventando più che mai identificabili.
Che cos’è il sonic branding?
Negli ultimi tempi abbiamo abbondantemente discusso dell’ascesa del digital audio, che ha reso i Podcast un nuovo modo di fare content marketing e ha dato spazio a un social network innovativo come Clubhouse, subito imitato da Facebook, Twitter e persino da Amazon.
Partendo da questo sguardo d’insieme, potremmo dire che il sonic branding è un’importante costola del marketing applicato al digital audio e sound, anche se la sostanza è piuttosto retrò. Perché retrò?
Perché si associa un suono al brand e si dà vita a un legame inscindibile, cosa che già in passato è abbondantemente accaduta con i jingle: casi storici sono quelli di McDonald’s, con le tipiche note associate al claim I’m lovin’it e delle intro dei film Disney.
Ciò che però, oggi, rende innovativo il concetto è la sua modalità di fruizione e diffusione. L’interazione odierna con le note associate a un marchio è più frequente, cosa che porta il pubblico a una più ampia possibilità di memorizzare l’associazione sonora, diffonderla e darle il giusto peso emotivo.
A cosa serve davvero il sonic branding?
Ed eccoci al punto: diffusione e peso emotivo fanno sì che sempre più persone associno quello specifico suono distintivo all’impresa/azienda/prodotto/servizio e creino un ricordo persistente. Il sonic branding si configura dunque come una vera e propria firma sonora, che ha il compito di imprimersi nella memoria per migliorare l’affinità marchio-pubblico.
D’altronde, gli esseri umani reagiscono più velocemente agli input sonori rispetto a ogni altro tipo di stimolo. Questo significa che il sonic branding diventa potenziante e che attiva un meccanismo di coinvolgimento molto profondo, quasi subconscio.
C’è però da precisare che da solo non basta. Il sonic branding è da considerarsi, almeno attualmente, uno strumento da affiancare a un’immagine e un’identità che devono avere delle basi solide. In sostanza, il suono è un veicolo emozionale che rende più attraente il brand, lo umanizza e lo approfondisce, dando spessore e carattere.
Scegliere una strategia di sonic branding
Diciamolo pure: lanciarsi nel sonic branding non è semplicissimo. Per potersi cimentare occorre fare considerazioni approfondite sulla brand identity, perché i suoni devono essere pensati e poi realizzati con attenzione, in maniera chiara, efficace. Devono avere la stessa immediatezza delle loro controparti visive e non portare fuori strada.
Per esempio, il famoso Tu-dum di Netflix (protagonista di uno spot geniale realizzato per Sanremo 2022) non avrebbe la stessa efficacia se fosse stato realizzato con note più acute: il suo compito è quello di creare suspance e attesa per l’episodio in arrivo, senza monopolizzare l’attenzione.
Il suono che si sceglie deve fornire al pubblico un assaggio di ciò che è il brand. Un marchio che si occupa di intrattenimento può optare per note squillanti e in scala, mentre un’impresa luxury dovrebbe giocare con melodie più calde e avvolgenti. Il motivo scelto ha il compito di mettere l’ascoltatore nel mood giusto e il mood giusto deve essere il perfetto specchio dell’identità dell’impresa. Difficile? Sì, ma non impossibile.
Le prerogative del sonic branding e gli esempi più riusciti
Come si afferma una firma sonora? Quali sono le prerogative del sonic branding? In primis, occorre considerare che ogni giorno tutti viviamo immersi in suoni che ci lanciano dei messaggi, senza bisogno di essere ascoltati attivamente: segnali acustici, battiti sulla tastiera, rumori provenienti dall’esterno.
Da ciò possiamo desumere che per essere efficace, un suono deve distinguersi ma non passare mai del tutto sullo sfondo. Poi, è necessario tenere presente che ci vogliono solo 0,146 secondi perché gli esseri umani reagiscano (sia psicologicamente che fisicamente) a un suono: questo significa che non è necessario scegliere melodie troppo lunghe.
Infine, bisogna riflettere sul fatto che più un suono è lineare e poco articolato, più si imprime nella memoria. È essenziale, dunque, optare per motivi con poche note e nessun arzigogolo.
Per mettere insieme queste informazioni, basta pensare agli esempi più riusciti. Tra questi abbiamo il già citato Tu-dum di Netflix, ma anche i suoni di avvio e chiusura di Windows, quello di apertura del Mac o quello di avvio dei dispositivi Amazon Alexa. C’è, inoltre, chi ancora ricorda le note d’accensione del Game Boy Nintendo o la classica suoneria Nokia.
Nella loro semplicità, tutti questi suoni portano con sé un enorme peso emotivo legato all’azienda e un rimando immediato ai suoi prodotti di punta. Questi esempi sono, dunque, la dimostrazione che la giusta melodia getta le basi del legame tra clienti e attività.