[vc_row][vc_column][vc_column_text]
Il libro “Storie che Incantano” spiega in maniera magistrale quanto (e come) lo storytelling sia il mezzo più potente per dare forma, vita e sostanza a un brand.
Uno degli errori che si compiono più frequentemente nel marketing aziendale è quello di non dare peso allo storytelling, ovvero all’arte di saper raccontare la propria realtà, il proprio brand.
Che si tratti di grandi marchi impegnati in strategie di brand awareness o della più “semplice” agenzia di comunicazione, lo storytelling è, a tutti gli effetti, l’elemento fondante di un corretto approccio di content marketing.
Di fatto, però, non basta raccontare la realtà: occorre accompagnare i destinatari del messaggio (utenti, clienti, fan) in un viaggio che, intrinsecamente, desiderano sperimentare. In un cammino che crei una connessione personale con il brand.
A spiegare come si fa, con tanto di esempi illustri, è il libro Storie che Incantano di Andrea Fontana, pioniere dello storytelling in italia e docente di storytelling e narrazione d’impresa all’Università di Pavia.
Storie che Incantano è un vero e proprio manuale che conduce alla scoperta di ciò che fa la differenza nello storytelling.
In un’epoca dove la comunicazione aziendale talvolta superficiale ha creato una situazione di content continuum, ovvero un proliferare di contenuti destinati a lasciare il tempo che trovano, “Non verrete ricordati per aver gridato più forte: ci sarà memoria di voi perché avrete nutrito e stabilito un legame con delle moving stories”, dice testualmente Fontana.
E in effetti a fare la differenza sono le storie che sono contemporaneamente materia, energia e informazione. Sono le storie che prevedono, in primo luogo, l’ascolto del pubblico che intendiamo incantare, stregare, catturare. Senza la pretesa di raccontare una storiella qualunque.
Nel suo libro, Andrea Fontana guida verso i fondamenti della narrazione, sottolineando che le storie che incantano sono accattivanti per diverse ragioni: da quando eravamo bambini siamo sempre stati attratti dalle fiabe. Questo per una ragione: perché sono contenuti che ci piace ascoltare.
L’essere umano è attratto dalle lezioni che apprende, dai viaggi, dalle scoperte, dal lieto fine. E il filo conduttore di ognuna di queste cose è il raggiungimento di un obiettivo finale, che arriva dopo un cammino.
Le storie che incantano, dunque, devono essere correttamente strutturate. Senza dei veri diktat rigidi, senza schemi da reiterare: semplicemente partendo da un inizio ben chiaro, muovendosi verso un plot twist, giungendo in maniera vibrante a una fine. Quiete, caduta, impeto, ritmo e armonia restituiscono una strategia di comunicazione autentica, ma anche creativa e stimolante.
Per questo le storie aziendali devono basarsi su dei temi portanti che, in fondo, non sono altro che attivatori cognitivi in grado di stimolare precise emozioni.
Cura, salvezza, legame, valore, trasformazione, fatti: sono queste le macroaree che Fontana identifica come spinta alla base di uno storytelling di successo. A queste tematiche è dedicata la seconda parte del libro, che capitolo dopo capitolo indaga le tematiche in maniera dettagliata facendo esempi specifici.
Per le storie di cura, delicate e potenti, Fontana porta l’esempio di Moments, corto prodotto per Volvo: una storia in evoluzione, segnata da aspettative e speranze. Uno spot che evidenzia l’importanza di una giusta calibrazione dell’intensità emotiva per portare il messaggio di un futuro più roseo e possibile.
Le storie di legame sono quelle che invece portano alla luce le capacità relazionali: quelle che portano un brand a entrare nella quotidianità del suo pubblico, creando coesione e identificazione. Si tratta di esperienze di storytelling simili ma allo stesso tempo differenze dalle storie di valore, che pur creando identificazione si concentrano su uno o più ideali che riteniamo fondamentali: amore, uguaglianza, giustizia o amicizia.
Fontana indaga anche le storie di trasformazione, potere e salvezza: anche queste simili ma molto diverse, tutte incentrate sulla capacità personale di riscattarsi, di cambiare, di raggiungere un traguardo che sembrava lontano mille miglia. Si tratta di tematiche che si sfumano e toccano corde sentimentali complesse e spesso intrecciate.
E poi c’è la storia suprema, che fa di ogni attivatore cognitivo una freccia convergente verso un unico messaggio vincente.
È verso questo risultato finale, apparentemente inarrivabile, che Fontana accompagna il lettore, con esempi di valore per ogni attivatore cognitivo che si punta a stimolare. L’obiettivo finale di Storie che Incantano è sottolineare che lo storytelling non è un modo di vendersi, ma di spiegarsi e presentarsi.
Non è una televendita ma una connessione empatica con il pubblico che non si limita a essere un esercizio unico, ma una questione di coerenza e adattamento ai bisogni umani in evoluzione. Questo perché, per citare l’autore, “oggi più che mai le storie sono diventate cibo. Nutrimento per le nostre anime e i nostri sistemi culturali e cognitivi”.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]