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Facebook down: perché le aziende non possono dipendere da Zuckerberg

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6 Ottobre 2021

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[vc_row][vc_column][vc_column_text]Il lungo blackout dei più importanti social media dimostra come sia rischioso, per i brand, incentrare la propria comunicazione solo su Facebook e simili.

Ancora una volta, il 4 ottobre 2021, l’intero ecosistema di Facebook (che comprende anche Messenger, Instagram, WhatsApp) è andato in tilt per oltre 6 ore. L’ultima volta era successo lo scorso 13 marzo quando le applicazioni hanno sostanzialmente smesso di funzionare per 14 ore. Un evento che verrà ricordato come il “Facebook down” più lungo da quando esiste la piattaforma. Secondo la versione ufficiale del colosso di Menlo Park, il problema fu causato da una “modifica alla configurazione del server” che ha reso complicato l’accesso alle app ed ai servizi.

Il lungo blackout dei famosi social media non è stato un problema solo per i teenager, che per molte ore non hanno potuto produrre stories su Instagram e scambiare messaggi su WhatsApp,ma soprattutto per molte aziende di tutto il mondo. Ed è su questo che dobbiamo riflettere cioè sull’incidenza di questi importanti strumenti nella comunicazione aziendale. E la domanda che dobbiamo porre è la seguente: quanto dipendono i brand dalle applicazioni di Mark Zuckerberg? La risposta è troppo. Vale per aziende di molti settori e di qualsiasi dimensione.

Durante il “Facebook down” tante aziende non hanno più potuto diffondere i propri contenuti e le informazioni, anche dell’ultima ora, sui propri prodotti, servizi ed iniziative; hanno smesso di comunicare con i propri clienti e potenziali clienti; hanno interrotto le campagne pubblicitarie. Sia chiaro, questi social media sono strumenti estremamente efficaci per la comunicazione di marketing delle aziende. Non utilizzarli significa, per i brand, perdere delle grandi occasioni per il proprio business. Il problema, come già sottolineato, non sta tanto nell’utilizzo quanto nella dipendenza. “Facebook down” dimostra che le imprese non possono demandare ad aziende terze, come quelle di Menlo Park, tre pilastri della moderna comunicazione digitale: pagine web di proprietà, database di clienti e lead, differenziazione degli strumenti di direct marketing.  

PAGINE WEB DI PROPRIETÀ

Il sito web non serve più, è morto. W il sito web! All’interno dei social media le aziende hanno gratuitamente degli spazi (pagine/account) sui quali, però, non possono vantare quasi nessun diritto. Non sono spazi di proprietà della vostra azienda ma di Zuckerberg (come nel caso dell’ecosistema Facebook). In qualsiasi momento, per malfunzionamenti come avvenuto giorni fa oppure a causa di nuove politiche di Facebook, i brand possono non disporre più di tali spazi. È pertanto impensabile che le imprese basino la loro visibilità sul web unicamente sui social media i quali non possono essere la loro unica “estensione” online.

Regola numero uno: ogni impresa deve avere un proprio sito corporate in quanto è l’unico spazio web di proprietà. Un sito che, a differenza delle pagine sui social sostanzialmente tutte uguali nella struttura, sia personalizzato e riesca a rappresentare la brand identity dell’azienda insieme alla sua differenziazione, rispetto ai competitor, ed al suo posizionamento sul mercato (brand positioning).

Il sito web non è affatto superato dopo l’affermazione dei social media. È ancora uno strumento fondamentale, anzi il pilastro sui cui si basa la comunicazione online dei brand da integrare con le attività di social media marketing.

DATABASE DI CLIENTI E LEAD

Se la nostra azienda ha i propri contatti (clienti e/o potenziali clienti) esclusivamente all’interno di strutture quali Facebook (gli illusori like alla pagina) e Messenger, i follower su Instagram ed i gruppi su WhatsApp, abbiamo un altro grosso problema. Durante il lungo “Facebook down”, molte aziende sono entrate in crisi perché non potevano più comunicare e relazionarsi con il proprio pubblico.

Regola numero due: ogni azienda deve possedere un proprio database di contatti, allocato su un software proprietario. Ovviamente nel rispetto delle vigenti norme sulla privacy (vedi il famigerato GDPR), le aziende devono costruirsi nel tempo un database di contatti ben profilati di persone o aziende (per il B2C o il B2B), possibilmente con email, numero di telefono e residenza.

Riflessione: uno dei punti di forza dei giganti del web (in testa Google, Facebook e Amazon) consiste nel possesso di una massa incredibile di dati delle persone. Questo deve spingere tutte le aziende, di ogni dimensione, a costruire nel proprio piccolo database dove immettere preziose informazioni sui propri clienti e non solo. Anche in questo caso vale la regola di dipendere il meno possibile dai colossi del web.

DIFFERENZIAZIONE DEGLI STRUMENTI DI DIRECT MARKETING

Avere un solido database proprietario è il primo passo, ma non basta. Dobbiamo sicuramente utilizzare i validissimi strumenti messi a disposizione dalle applicazioni di casa Facebook ma dobbiamo avere anche delle alternative. Sempre durante l’ultimo down, tante aziende hanno visto bloccare le campagne Ads su Facebook e Instagram, non hanno potuto più relazionarsi su Messenger (pensate a chi utilizza i bot per prenotazioni o altro) e hanno dovuto rinunciare ai messaggi su WhatsApp. Che fare in questo caso?

Regola numero tre: ogni azienda deve possedere e utilizzare altri strumenti di direct marketing. Per raggiungere il vostro pubblico ci sono infatti tante altre alternative (sempre se avete un valido database).

Innanzitutto ogni impresa deve valutare, in base al proprio target di riferimento, la possibilità di andare oltre i social media di Zuckerberg utilizzandone altri. LinkedIn per chi fa B2B, Twitter per diffondere informazioni e cavalcare i trend del momento, Pinterest per il visual marketing, YouTube per propagare i video. Le aziende devono quindi pensare ad una strategia di social media marketing multicanale.

Anche sul fronte della pubblicità online è bene esplorare altri mondi differenti dal seppur potente Facebook Ads. C’è l’altro colosso del web, Google Ads con le sue campagne search e display. C’è il native advertising che integra il contenuto aziendale nella linea editoriale dei siti web o app esterni. Ci sono i comparatori di prezzi per chi fa E-commerce (Trovaprezzi, Kelkoo ecc.)

Chi possiede gli indirizzi e-mail può, o meglio deve, pensare ad una strategia di e-mail marketing. Non è affatto uno strumento vecchio e inutile come tanti sprovveduti pensano. Chi possiede i numeri di cellulare, e cerca delle alternative a WhatsApp, può ricorrere al sempre verde Sms marketing che negli ultimi anni è tornato in auge. Siamo infatti quotidianamente sommersi dai messaggi su WhatsApp e Messenger (spesso ignorati) mentre gli sms sono pochi pertanto gli prestiamo più attenzione. Altra alternativa è Telegram. Oltre ad un sistema di messaggistica di buon livello, su questa piattaforma le aziende possono creare una propria community online (il Canale) a cui diffondere i propri contenuti.

In definitiva ecco cosa insegna il “Facebook down” a chi vuole fare una efficace comunicazione aziendale online: sì all’utilizzo dei social media dell’universo Facebook, no alla dipendenza da essi.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]

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