Le neuroscienze aiutano a creare campagne di marketing migliori
Niente trucchi magici, nessun espediente funambolico: per capire clienti, utenti e follower “bastano” le neuroscienze. Gli studi realizzati sul sistema nervoso umano sono sempre più importanti per le strategie di marketing e chi vuole restare al passo dovrebbe tenerne conto.
Il motivo è molto semplice: siamo esseri umani e, pur avendo ognuno la propria storia, le proprie esperienze e la propria personalità, possediamo tutti un cervello che funziona più o meno allo stesso modo, specie nel processo decisionale e nella selezione delle informazioni.
Una questione di cervello
Chiunque voglia avviare una campagna di marketing o voglia cimentarsi nella pianificazione di strategie di comunicazione su qualsivoglia canale dovrebbe capire, appunto, come opera il cervello. È qui che entrano in gioco le neuroscienze, che da diversi anni documentano esattamente cosa succede e come ci “attiviamo” quando riceviamo e processiamo le informazioni, quando proviamo emozioni e quando decidiamo qualcosa.
Approfondire le neuroscienze e coniugarle al marketing significa iniziare a capire come influenzare l’utente/cliente/follower e portarlo all’obiettivo di conversione fissato. In più, questa branca scientifica permette di individuare i concetti e gli strumenti di marketing più efficaci e di non andare a tentoni.
Le neuroscienze sono manipolatorie?
Prima di andare avanti, occorre dire che messa così sembra quasi che le neuroscienze ci permettano di fare degli utenti/clienti/follower quello che vogliamo, manipolandoli. Ma no, non è così: le neuroscienze non hanno nulla a che fare con la manipolazione psicologica, che, per altro, è controproducente.
Applicare i cosiddetti dark patterns [letteralmente “modelli oscuri”, ndr] è una scelta azzardata, che, alla fine, non ripaga: è stato dimostrato più volte che gli utenti/clienti/follower se ne accorgono e interrompono il rapporto con chi li applica, sentendosi (giustamente) traditi).
Invece, applicando le neuroscienze al marketing si studiano i processi decisionali che gli utenti/clienti/follower stanno già usando, senza alterarli bensì sfruttandoli per supportare con contenuti ad hoc il momento ideale per un’eventuale conversione.
Lo studio esplicativo
Social media examiner spiega alla perfezione l’applicazione delle neuroscienze al marketing citando le ricerche e gli studi del professor Brian Knutson, ordinario di psicologia e neuroscienze alla Stanford University e direttore del Symbiotic Project on Affective Neuroscience.
Molti degli studi di Knutson si concentrano sulle basi neurali delle emozioni e uno dei più recenti ha analizzato la reazione del cervello a un customer journey inventato ad hoc. I partecipanti allo studio sono stati collocati in uno scanner fMRI, che acquisisce immagini del cervello misurando la forza del flusso sanguigno in diverse regioni. A ogni persona sono stati presentati:
- Un prodotto;
- Un prezzo;
- Un pulsante che consentiva di dire “sì” o “no” all’acquisto.
Chiaramente (e prevedibilmente) quando un prodotto ritenuto desiderabile appariva sullo schermo, il cervello dei partecipanti si è attivato. In particolare, ad “accendersi” è stato il sistema di ricompensa, ovvero quel gruppo di strutture neurali responsabili delle emozioni positive, della motivazione e dell’apprendimento associativo.
Fin qui tutto bene: i cervelli dei partecipanti hanno iniziato anche a rilasciare dopamina, una sostanza chimica legata al desiderio, che incoraggia l’essere umano ad agire. Tutto però è cambiato quando si sono “scontrati” con il prezzo. Ad accendersi, a questo punto, sono state delle zone inaspettate.
Sì, perché le regioni del cervello che gestiscono la matematica e il processo decisionale sono rimaste “spente”, mentre a illuminarsi sono stati nientemeno che i centri del dolore. Il fatto di rinunciare a qualcosa che stavano apprezzando per via del prezzo, ha provocato dolore ai partecipanti.
La formula d’acquisto
Dopo aver ottenuto questi risultati, il team di Knutson ha creato una vera e propria formula matematica chiamata formula di acquisto, la quale, in sostanza, dice che le possibilità che qualcuno effettui un acquisto sono più legate alla quantità di dolore rispetto che al piacere.
Probabilità di effettuare un acquisto =
(quantità di piacere ottenuto dall’attivazione del centro di ricompensa) – (quantità di attivazione del centro del dolore)
Questa formula è essenziale per le strategie di marketing e comunicazione, perché ci dice che, nel contesto di una campagna che ha come obiettivo la vendita di un determinato prodotto, non ha senso scrivere annunci incentrati sui prezzi, anche se sono bassi. Gli utenti non vogliono pensare al prezzo: meglio, invece, puntare su qualcosa che attivi in maniera molto più potente il sistema di ricompensa.
Vendite e conversioni appaganti
Come si fa a puntare su questo “qualcosa”? Ricordando che il sistema di ricompensa è fortemente legato a ciò che viene chiamato richiamo associativo. In sostanza, più le persone conservano ricordi positivi associati al nostro brand/prodotto/servizio, più il sistema di ricompensa si attiverà facilmente e ampiamente.
Questo significa che occorre presentarsi, ripetutamente, nel tempo, in modo positivo con contenuti preziosi, pertinenti e tempestivi, costruendo una “banca dati di ricordi” positivi associati al customer journey.
Certo, non è semplice dato che ogni utente ha bisogni, desideri e gusti diversi. Occorre impegnarsi e ricreare dei modelli ad hoc, possibilmente costruendo delle buyer personas e simulando le loro azioni, in modo da da comprenderne tutte (o quasi) le sfaccettature.
Come sempre impegno, analisi e indagini ci ricompensano. Niente è facile, specie quando si tratta di marketing, ma al contempo niente è impossibile: basta “solo” studiare.